“Un mare che non è mai fermo”

“Un mare che non è mai fermo”

Michele Mariotti torna alla Scala per dirigere una delle opere più monumentali di Rossini, Guillaume Tell, culmine del repertorio serio del compositore di cui il direttore pesarese è uno dei punti di riferimento di oggi

27.3 foto per articolo rivista di Michele Mariotti agli applausi

IN Guillaume Tell è un’opera che subì molti tagli nel corso delle prove e delle prime rappresentazioni seguite al battesimo avvenuto all’Opéra di Parigi il 3 agosto 1829. L’edizione critica a cura di Elizabeth Bartlet, pubblicata nel 1992 dalla Fondazione Rossini di Pesaro, ha ricostruito il testo nella sua completezza, integrando tutti i brani tagliati. Che versione ascoltiamo in questa ripresa scaligera?

MM L’opera è eseguita nell’edizione critica, in francese, in forma pressoché integrale, con solo qualche piccolo taglio per esigenze dello spettacolo. Ometteremo il pas de deux nei ballabili dell’Atto I, l’aria di Jemmy e una sezione del pas de soldats nell’Atto III. Le danze ci saranno tutte, così il trio Mathilde-Jemmy-Hedwige nel Finale dell’Atto IV. È dunque una versione analoga a quella che ho diretto al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 2013, ripresa a Bologna nel 2014.

 

IN Sono trascorsi dieci anni dal suo ultimo Tell. In questi anni ha aggiunto al suo repertorio altre opere serie di Rossini, oltre a La donna del lago e Semiramide; mi riferisco a Moïse et Pharaon e Maometto II. Rispetto alla strategia drammatico-compositiva messa a punto da Rossini tra Napoli e Parigi, fatta di numeri chiusi ampi e articolati, di recitativi energici di impianto tragico, cosa ha apportato questa ampliata conoscenza del Rossini serio alla sua lettura del Tell oggi?

MM Oltre al Rossini serio ho diretto tantissimo Verdi (tranne Les Vêpres siciliennes e qualche opera giovanile ho eseguito tutti i titoli più importanti) e opere del repertorio francese. Dobbiamo ricordare che Rossini compone Guillaume Tell con un atteggiamento critico nei confronti del nuovo stile musicale che si andava affermando. A lui non piaceva fotografare la realtà ma piuttosto, come riporta Antonio Zanolini nella sua biografia del compositore, creare quell’“atmosfera morale che riempie il luogo” all’interno del quale i personaggi agiscono, recitano.

 

IN Intende che non dobbiamo leggere quest’opera con le lenti di ciò che verrà dopo…

MM Rossini ha dimostrato di saper abbracciare uno stile, intendo lo stile romantico, che non era all’epoca ancora esploso. Tell non è un’opera romantica ma piuttosto pre-romantica, caratterizzata da un colore diverso. In questi anni ho lavorato molto sullo strumento sonoro, sul colore orchestrale. In quest’opera c’è un nuovo respiro, un nuovo colore, e c’è una presenza della natura stupefacente, che abbiamo visto solo nella Donna del lago. Le esperienze che ho fatto negli ultimi anni vanno in questa direzione. Non snaturerò il Tell, non lo farò diventare un’opera romantica. Per esempio, l’aria di Arnold dell’Atto IV “Asile héréditaire” ha un’orchestrazione diversa da tutto il resto dell’opera e corrisponde all’evoluzione del personaggio. In principio ad Arnold poco interessa la patria, la lotta: è essenzialmente innamorato di Mathilde, e vuole amarla a dispetto dello scontro politico e della differenza di status sociale. È la morte del padre a far sì che egli si accenda e che si dichiari pronto a combattere per vendicarlo; per questo l’aria ha carattere diverso da tutto il resto dell’opera. Non sono d’accordo nel vedere Arnold come un tenore eroico, per me rimane un innamorato. C’è poi il Trio delle donne nell’Atto IV, importante in quanto mette in luce un altro tema, che è il senso di appartenenza, l’attaccamento alle proprie radici, l’amore, oltre alla solidarietà tra Mathilde ed Hedwige, moglie di Tell. Un trio di donne è una rarità, un gioiello, presente solo nell’Orfeo ed Euridice di Gluck e nel Rosenkavalier di Strauss.

 

IN Ha parlato del colore sonoro. Nel Tell c’è un colore peculiare che è tutt’uno con la natura del paesaggio e le sue sonorità, con la vita della nazione elvetica.

MM Quest’opera ha uno scorrere particolare; c’è sempre la pulsazione ritmica della natura, come un mare che non è mai fermo. Questo aspetto panico si esprime nel continuo fluire del ritmo della musica, come nel duetto Mathilde-Arnold nell’Atto II, nell’aria di Mathilde “Sombre forêt”, dove l’accompagnamento a terzine scivola e non si ferma mai, nello stesso arioso di Guillaume Tell “Sois immobile”.

 

IN A proposito del personaggio di Guillaume, notiamo che ha un solo pezzo solistico, pur se grandioso, introdotto come l’Ouverture dal violoncello.

MM L’Ouverture inizia in modo cameristico, con colore scuro, misterioso, timoroso. Già dall’esordio del violoncello solo capiamo che Guillaume Tell è un eroe suo malgrado, è un uomo che nel momento della prova più crudele impostagli dal tiranno Gessler ˗ il tiro alla mela sulla testa del figlio ˗ Guillaume trema. Tant’è vero che il coro dei soldati si prende gioco di lui dicendo “C’est là cet archer redoutable”. Tell è anzitutto un uomo, per questo fin dall’arpeggio della prima battuta dell’opera chiedo all’orchestra di definire non l’eroe ma un uomo pieno di paure che alla fine trionfa mosso dall’amore per la sua famiglia, per il suo popolo. La baldanza non gli appartiene, ha piuttosto il coraggio. Il dominio, il fragore sono della natura e l’uomo ne è sovrastato.

 

IN Il fatto che Guillaume Tell sia un antieroe spiega come mai non sia assurto a mito risorgimentale. Benché sia difficile prestare a Rossini precisi intenti politici, sicuramente il tema rivestiva all’epoca implicazioni politiche specie se si considera che, a distanza di poco meno di un anno dalla prima dell’opera, Parigi sarà teatro di una seconda rivoluzione che vedrà il rovesciamento del governo assolutista di Carlo X con la sostituzione al trono di Luigi Filippo I d’Orléans nel luglio 1830. Si avverava dunque l’assunto centrale del mito di Tell, cioè che ogni governo tirannico ha come necessaria conseguenza la rivoluzione. Per questa ragione anche un pacifico padre di famiglia come Tell viene trascinato nello scontro dall’arroganza e dai soprusi perpetrati dal governatore e dai soldati inviati dagli Asburgo a occupare la Confederazione svizzera.

MM È l’eroismo quotidiano, quello che ti spinge a difendere i tuoi cari. Infatti nell’ultimo atto Hedwige, durante la sua preghiera, chiede alla Provvidenza di salvare Guillaume che muore vittima dell’amore per il suo Paese e dell’attaccamento ai suoi valori.

 

IN La natura grandiosa, pervasa dal senso del sublime, trova il punto culminante nel celeberrimo finale.

MM Sogni di fare il direttore d’orchestra per dirigere questa pagina. È una musica che non ha quasi bisogno del direttore, che sembra procedere da sola, similmente a quanto accade nel finale di Moïse et Pharaon e di Mosè in Egitto. Si tratta di una pagina molto vicina a Beethoven più che agli autori romantici.

 

IN Intende il Beethoven della Pastorale?

MM Sì, ma anche della Quinta Sinfonia, dove il tema dell’ultimo tempo non si sviluppa ma si ripete, un po’ come in “Sombre forêt” dove assistiamo a una reiterazione costante delle terzine. Il Finale del Tell, dal punto di vista della costruzione, non è che una successione di arpeggi di una semplicità disarmante. Questo ci fa capire il concetto di astrazione della musica di Rossini e di quanto questa musica sia difficile perché non è sufficiente a se stessa, ma vive attraverso l’interprete e le sue idee. Non è una musica che si autoalimenta, non è Bellini la cui melodia sta in piedi anche solo con un pizzicato o un semplice arpeggio. La musica di Rossini ha bisogno di essere interpretata e non è sufficiente fare ciò che è scritto; ci sono tanti cambiamenti di tempo che io personalmente ritengo inevitabili ma che non sono indicati. C’è sempre un motivo teatrale, testuale che mi guida nelle scelte esecutive, così nei recitativi, nel rapporto tra la musica e la parola detta. Ogni rallentando ha una ragione teatrale. Quando nella scena in cui Gessler obbliga gli svizzeri a inchinarsi al suo cappello, simbolo del potere e dice “Je le veux!” il personaggio può essere autoritario, perfido, subdolo, a seconda di come lo costruisci. Il senso ultimo del Finale, della sua morbida melodia enunciata dal suono naturale del corno, sta nella riappacificazione dell’uomo con l’ambiente, deturpato dalla violenza, dalle guerre, che poi è ciò che stiamo vivendo nei nostri giorni. Un invito a ritornare parte della nostra natura.

Ilaria Narici