Sul lettino del dottor Händel

Sul lettino del dottor Händel

Nell’orchestrazione di Alcina, secondo il direttore Marc Minkowski, si notano una sorprendente cura dei timbri e una ricerca quasi cameristica: un’esecuzione in forma di concerto può permettere al pubblico di crearsi da solo le proprie immagini

Minkowski

L’8 febbraio Marc Minkowski e Les Musiciens du Louvre eseguono in forma di concerto Alcina di Händel, che orchestra e direttore hanno portato in tournée nel 2023, traendone un disco per Pentatone, pubblicato lo stesso 8 febbraio. Sul palco un cast di prim’ordine in cui spicca la presenza di Magdalena Kožená, con cui Minkowski è legato da oltre vent’anni di collaborazioni artistiche e di incisioni.

 

AT Il suo rapporto con la musica di Händel è ben noto. Ma quando ha affrontato Alcina per la prima volta?

MM Alcina è stata un amore tardivo, in realtà. La mia prima produzione di quest’opera è arrivata ormai nel lontano 2010, alla Staatsoper di Vienna. Fu un’occasione particolarmente importante: si trattava della prima volta che all’Opera di Vienna si esibiva un’orchestra che non fossero i Wiener Philharmoniker, peraltro in buca, trattandosi di una forma scenica. Non le nascondo che avevo anche qualche timore, come avrebbe reagito l’acustica del teatro a un’orchestra diversa?

 

AT Certo, affidare un’occasione così importante alla sua prima esperienza con Alcina richiede non poco coraggio.

MM Sì, ma quello con Händel è un percorso che affonda le radici nella mia giovinezza, ho potuto acquisire dimestichezza con la sua musica attraverso innumerevoli produzioni, con alcune delle quali ho un rapporto speciale. Penso in particolar modo all’Ariodante, che dell’Alcina è un po’ l’opera sorella, scritta lo stesso anno, per gli stessi cantanti, con la stessa musica per il balletto e con soggetto sempre tratto dall’Orlando Furioso. L’Ariodante l’avevo già inciso nel ’97, tredici anni prima dell’Alcina alla Staatsoper.

 

AT La produzione di Vienna di Alcina era in forma scenica, mentre quella portata in tournée è in forma di concerto. Questo cambia il modo in cui pensa l’opera?

MM In realtà no. Alcina è un’opera profondamente meditativa. Tutto si svolge come un lungo sogno che Händel costella di andanti, di adagi, di lamenti, tra cui emergono con grande contrasto i momenti più eroici, persino furiosi e tempestosi. Eseguita in forma di concerto, Alcina permette al pubblico di lasciarsi andare a questa musica prodigiosa e di crearsi le proprie immagini da sé, come in un sogno appunto.

 

AT Parliamo dunque della musica. Come rende Händel questo carattere lunare nella partitura?

MM Coerentemente, Händel privilegia l’intimità. Come dicevo, non mancano i momenti rigogliosi e tempestosi, ma anche nell’orchestrazione si notano una sorprendente cura dei timbri e una ricerca direi quasi cameristica. Non di rado Händel fa dialogare i cantanti con un violino, un violoncello, i flauti. Credo che il compositore si sia davvero interrogato su come rendere timbricamente lo stato psicologico del personaggio, come illustrare l’animo messo in analisi. Da un certo punto di vista, quest’opera mi sembra come una grande seduta di psicanalisi, in cui Händel va a fondo del concetto di “amore”, affrontato sotto diverse luci come in un grande tema e variazioni.

 

AT Questa sospensione analitica, in Alcina, rischia però anche di appesantirla, tanto più che mancando la forma scenica tutta la tenuta del discorso è affidata alla musica. Come si evita questo rischio?

MM È una questione complessa, spero di poter dare una risposta soddisfacente. È essenziale lavorare sui contrasti, che, come dicevo, Händel sottolinea con astuzia. Questo mi viene reso molto più facile dal poter lavorare con la mia orchestra. Non sta a me dirlo, ma sono veramente convinto che tra Les Musiciens du Louvre vi siano alcuni dei migliori musicisti d’Europa. Dirigere un ensemble del genere permette di ottenere una trasparenza totale e di portare in superficie ogni elemento. Inoltre, il dialogo tra l’orchestra e i cantanti è serratissimo e questo permette di creare grande varietà con il cast, senza mai perdere di coesione.

 

AT Come si inserisce il cast in questo lavoro?

MM Le voci sono centrali in questo repertorio e per questa produzione posso contare su un cast veramente eccellente. Magdalena Kožená viene dal Barocco ma negli anni ha affrontato un repertorio sempre più ampio e diversificato, un’esperienza che porta con sé anche quando scolpisce il carattere della maga Alcina, cui Magdalena dona affascinanti contrasti e un’intensità lirica estrema. Anche la Bradamante di Elizabeth DeShong ha questa forza drammatica, mentre la presenza nel cast di musicisti molto diversi come carattere e percorso garantisce quella varietà di colori che è essenziale. Penso al giovane Alex Rosen, Melisso, un magnifico basso lirico.

 

AT Nel cast è da segnalare anche la presenza di Alois Mühlbacher come Oberto, parte che cantò nel 2010 ancora da fanciullo cantore di Sankt Florian.

MM Sì. Ovviamente oggi Alois è un cantante adulto a tutti gli effetti e come tale affronta la parte di Oberto, ma questo personaggio è una figura interessante, una sorta di Cherubino mozartiano ma più drammatico, e rimane aperto a diverse interpretazioni.

 

AT Un’ultima domanda su Händel. Dei tanti operisti barocchi, Händel è uno di quelli che meno abbisogna di festival, focus e riscoperte e sono ormai decenni da quando si è affermato in ogni teatro del mondo. Per quale ragione?

MM Potrà sembrare banale, ma credo che una parte importante sia dovuta all’incredibile genio che traspare da ogni battuta. Händel è un autore capace di rendere con perizia il sentimento dei suoi personaggi, con una profondità psicologica che è pari solo alla bellezza dei suoi temi, così ben scritti e così facili da ricordare. Recentemente ho affrontato molto Mozart, anche con diverse incisioni, e più dirigo Mozart più mi rendo conto di quanto Händel ci sia dentro.

 

AT A quasi 14 anni dall’Alcina viennese, com’è stato tornare su quest’opera? Si sente cambiato?

MM Scherzando, ma non troppo, a volte dico che i direttori sono come il vino: più invecchiano e più migliorano. Il mio primo Händel l’ho diretto quando avevo 18 anni, ovviamente sono cambiato.

 

AT In che modo?

MM Sono sempre stato un direttore espressivo ed eloquente e questo a volte piace, a volte non piace, a volte non viene proprio compreso. Ecco, con il tempo credo di essere diventato sempre più “universale”. Ciò che non è cambiato, invece, è il mio essere una persona istintiva. Non so bene perché faccio qualcosa, a differenza di molti altri miei colleghi, io non so mettere in parole ciò che invece il mio corpo esprime molto meglio. Non credo sia un caso che ancora studente pensavo di fare l’attore. Oppure il fantino!

 

AT Il fantino?

MM Sì, perché con un cavallo riesci a esprimerti senza bisogno di pronunciare alcuna parola. Si crea un legame puramente sensoriale e istintivo e quando posso esprimermi in questo modo, sento di dare il mio meglio.

 

AT Allora perché la direzione?

MM Perché studiavo fagotto e avevo un insegnante di musica che accese in me una passione fortissima. Mentre suonavo in orchestra, mi era chiarissimo che ciò che avrei voluto fare sarebbe stato stare sul podio. Tutto in me mi chiedeva di andare oltre, di scavare nella partitura, di esprimere ciò che vi era contenuto. Per quello appena ho potuto ho fondato Les Musiciens du Louvre.

 

AT E oggi, 42 anni dopo, Les Musiciens du Louvre sono ancora uno degli ensemble di riferimento, con un repertorio sempre più ampio e vario. Com’è possibile?

MM Credo che molto stia nel rapporto estremamente libero che c’è in orchestra. Tutti i Musiciens sono freelance, alcuni sono lì dagli esordi, ma cerchiamo anche di dare spazio a giovani promettenti che portino nuova forza e brillantezza. Chi suona nei Musiciens du Louvre lo fa perché vuole lavorare con me e con il resto della compagine, altrimenti è libero di lasciare e poi pure di ritornare. È il caso del primo violino di questa Alcina, di nuovo con noi dopo vent’anni di assenza. E non glielo nascondo: è stato meraviglioso tornare a fare musica insieme dopo tanto tempo.

Alessandro Tommasi