CAVALLERIA RUSTICANA

Pietro Mascagni

PAGLIACCI

Ruggero Leoncavallo

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Legenda

Questo è il libro di sala accessibile per Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.

Si compone di 36 pagine. È corredato di versione audio per i testi, audio descrizione per le immagini e video in Lingua dei Segni Italiana (LIS).

I testi sono disponibili in versione a contrasto inverso e caratteri ingrandibili. Il pulsante “AUDIO TESTO” attiva una voce maschile per la lettura dei testi, il pulsante “AUDIO DESCRIZIONE” attiva una voce femminile che descrive le immagini. Il pulsante “LIS” attiva i video in Lingua dei Segni Italiana.

Utilizzando questo libro di sala accessibile si dà esplicito consenso ad accedere a contenuti ospitati su siti web di terze parti.

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Indice

  • Il Teatro alla Scala: ieri e oggi
  • Introduzione alle due opere
  • Introduzione alla regia delle due opere
  • Cavalleria Rusticana
    • Il compositore
    • Note di regia
    • Trama
  • Pagliacci
    • Il compositore
    • Note di regia
    • Trama
  • Credits
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Il Teatro alla Scala:
ieri e oggi

Il 3 agosto 1778 venne inaugurato il Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala, finanziato e voluto dai nobili milanesi con il sostegno della monarchia asburgica, dopo che un incendio il 25 febbraio 1776 aveva distrutto il vecchio Regio Teatro Ducale.

Il nuovo teatro fu costruito in meno di due anni su progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini, allievo di Luigi Vanvitelli. Dietro la facciata neoclassica, Piermarini realizzò quello che ancora oggi è un perfetto esempio di teatro all’italiana, un modello che ha dominato l’Europa fino alla fine dell’Ottocento. Con teatro all’italiana si intende un edificio con una sala a ferro di cavallo, una sequenza di palchi disposti per più ordini verticalmente, una galleria o loggione con un ingresso separato.

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Il Teatro alla Scala il giorno della sua apertura contava 194 palchi, compreso il Palco Reale, distribuiti in cinque ordini: di questi palchi, 155 (dal primo al quarto ordine) erano di proprietà dei cosiddetti palchettisti.

Il quinto ordine di palchi, la platea, il loggione e gli alti spazi erano a disposizione dell’impresario, che poteva affittarli per la singola serata o inserirli negli abbonamenti. Nel periodo della Restaurazione, tra il 1815 e il 1848, si assistette all’ascesa del Teatro alla Scala a primo palcoscenico italiano, processo favorito da un insieme di fattori: la nascita e lo sviluppo del repertorio operistico, la presenza a Milano dei principali editori musicali, l’affermazione alla Scala dei maggiori compositori del tempo, tra cui Giuseppe Verdi.

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L'immagine mostra una veduta d’insieme dell’interno del Teatro alla Scala, dal fondo della platea. Si tratta del riallestimento effettuato nel 1830 che ha visto i palchi e il loggione arricchiti di drappeggi blu. La platea è piena di persone, in gran parte sedute su panche a più posti, ma anche in piedi, sul fondo. Sul soffitto, al centro della platea, c’è il grande lampadario che fu collocato nel 1823, con 84 lumi a petrolio. Sul palco, le scenografie mostrano a destra un grande albero con chioma verde in primo piano e più indietro un paesaggio collinare. A sinistra, una grande casa con due persone affacciate alla finestra sopra al portone e, più indietro, una cattedrale. Il palco è popolato da una moltitudine di persone, in parte in piedi e in parte sedute.
Teatro alla Scala – Ieri.
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Fra il gennaio 2002 e il dicembre 2004 la Scala affronta il più grande intervento di restauro dell’edificio e di modernizzazione del palcoscenico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 7 dicembre del 2004 Riccardo Muti inaugura il teatro restaurato con Europa Riconosciuta di Antonio Salieri, l’opera che aveva battezzato il teatro nel 1778. Dal 2018, la Scala ha incrementato la propria attività: dai circa 190 spettacoli annuali prima del nuovo palcoscenico, si è passati a circa 284 nel 2021, tra opera, balletto, concerti, attività in sede e fuori sede.

Oggi il Teatro alla Scala ha 2015 posti totali e 154 palchi. L’altezza della platea è di circa 18 metri, mentre la distanza tra il Palco Reale centrale e il palcoscenico è di 30 metri. Il numero di abbonati è di circa 10.000.

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La foto mostra il teatro nella sua forma attuale, visto dal palcoscenico, senza artisti in scena e senza pubblico in platea e nei palchi. Oltre il palco, c’è la buca dell’orchestra con i leggii e le partiture. A seguire, la platea con le attuali poltrone di velluto rosso intenso, i cinque ordini di palchi e il loggione senza drappeggi, decorati con lo stesso velluto rosso intenso delle sedute in platea. Il lampadario, sostituito a quello dell’Ottocento dopo la Seconda Guerra Mondiale, ne replica l’aspetto originario.
Teatro alla Scala – Oggi.
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Introduzione alle due opere

Cavalleria Rusticana è un melodramma in un atto su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dal dramma di Giovanni Verga basato sull’omonima novella dello stesso autore. L’opera debuttò al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890, dopo la vittoria al Concorso Sonzogno.

Pagliacci è un dramma in un prologo e due atti, su musica e libretto di Ruggero Leoncavallo. L’opera debuttò al Teatro Dal Verme di Milano il 21 maggio 1892, diretta da un giovane e sino ad allora poco conosciuto Arturo Toscanini. Le opere sono entrambe di ambientazione contadina e ispirazione verista, con una trama incentrata sulla vendetta di un uomo geloso che uccide l’amante della propria donna – e nel caso di Pagliacci, anche l’amata stessa.

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Al Teatro alla Scala, Cavalleria Rusticana fu associata a Pagliacci solamente tra il 1926 e il 1929, poi nel 1970, 1981 e più recentemente nel 2011 e 2015.

Questo abbinamento storico, proposto dall’anno seguente il debutto di Pagliacci al Metropolitan Opera di New York nel 1893, venne legittimato dallo stesso Mascagni che, nel 1926, al Teatro alla Scala, diresse, nella stessa soirée, entrambe le opere.

Il dittico Cavalleria Rusticana/Pagliacci che viene nuovamente presentato in questa stagione del Teatro alla Scala ha la regia di Mario Martone, ripresa per l’occasione da Federica Stefani.

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Introduzione alla regia
delle due opere

Mario Martone, regista di teatro, opera e cinema, a seguito del debutto nel 2011, è stato definito dalla stampa “neoverista” nel suo approccio alla regia di Cavalleria Rusticana e Pagliacci, che si rivela particolarmente interessante sul piano dell’allestimento, poiché richiede un intervento unitario da parte di regista, scenografo e costumista.

Le scene di questi due spettacoli hanno infatti quasi sempre rispettato alla Scala l’impianto che si riferisce a una riproduzione fedele dei luoghi originali descritti nei libretti, che fanno parte di un meridione in parte rimasto immutato. La produzione firmata da Mario Martone, invece, segna una profonda rottura con la tradizione e ha nell'interazione con il pubblico uno dei nodi principali.

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CAVALLERIA RUSTICANA

Pietro Mascagni

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Il compositore

Pietro Mascagni nasce il 7 dicembre del 1863 a Livorno, in seno a una famiglia numerosa e modesta, la cui madre viene a mancare molto presto. Inizia a studiare pianoforte negli anni del Ginnasio e nel 1778, a 15 anni, compone la sua prima romanza, Duolo Eterno, dedicata al padre. Continua a comporre negli anni che seguono e nel 1882 si trasferisce a Milano, grazie al sostegno economico del conte Florestano de Larderel, dove viene ammesso al Conservatorio e dove conosce e frequenta Giacomo Puccini e Amilcare Ponchielli.

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Questo ritratto di Pietro Mascagni è ad opera del pittore livornese Angiolo Tommasi, ed è stato realizzato nel 1899, quando Mascagni aveva 36 anni, a nove anni dal successo di Cavalleria Rusticana. Nel quadro, il compositore è seduto su un’elegante sedia di legno e suona un pianoforte nero. Con bocchino e sigaretta in bocca, Mascagni guarda verso l’osservatore. Ha i capelli castani, folti e mossi, e gli occhi sono dello stesso colore. Indossa un’elegante giacca nera, un gilet giallo, un papillon scuro e dei pantaloni beige. Al dito mignolo della mano destra ha un anello.
Il compositore, Pietro Mascagni.
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Tuttavia, Mascagni entra presto in contrasto con la direzione del Conservatorio e nel 1885 lo lascia e si trasferisce a Cerignola, dove assume l’incarico di “maestro di suono e canto” per la Filarmonica locale.

Nel 1890 arriva il primo, grande riconoscimento internazionale della sua carriera: ottiene la vittoria al Concorso Sonzogno con Cavalleria Rusticana, che presenta il 17 maggio al Teatro Costanzi di Roma. Nello stesso teatro, dopo il grande successo di Cavalleria Rusticana, presenta l'anno successivo L’Amico Fritz.

La notorietà porta anche qualche fastidio a Mascagni, che si trova costretto ad affrontare Verga in una battaglia legale sul copyright di Cavalleria Rusticana. Nel marzo del 1891, il Tribunale di Milano si pronunciò in favore di Verga, riconoscendogli il 50% degli utili netti ricavati e da ricavarsi, una pronuncia confermata anche nel 1892.

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I primi anni del Novecento sono densi di impegni internazionali e di grandi eventi, tra i quali concerti a Madrid, Bucarest e Vienna su invito di Gustav Mahler, un ciclo di concerti negli Stati Uniti e la prima di Amica a Montecarlo.

Nel 1910 arrivano i primi contatti col Sud America, dove Mascagni si reca in compagnia di Puccini per porre le basi della prima rappresentazione pubblica di Isabeau al Coliseo di Buenos Aires. La prima italiana della stessa opera, oggetto di contesa, si tenne in contemporanea al teatro la Fenice e al Teatro alla Scala nel 1912. Nel 1915 Mascagni si avvicina anche al cinema componendo la colonna sonora del film Rapsodia Satanica.

L'ultima opera a cui lavora è Nerone, che va in scena al Teatro alla Scala nel 1935, mentre nel 1940 tutta l’Italia si unisce nel celebrare i 50 anni dalla prima rappresentazione di Cavalleria Rusticana. Pietro Mascagni muore a Roma nell’agosto del 1945.

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Note di regia

Con la regia di Mario Martone si passa dal Verismo di Giovanni Verga nella sua novella a quello di Pietro Mascagni nella celebre opera e, infine, al Neoverismo di Martone. Il regista propone una lettura minimalista, essenziale, atta a evidenziare la drammaticità delle vicende che i personaggi vivono in questa opera ad atto unico.

La scena è caratterizzata essenzialmente dal vuoto, con un grande ruolo svolto dal coro, sia nelle vicende evocate nell’opera che in relazione ai movimenti scenici: emblematica è la presenza sul palco di un “coro di sedie”, mosse e animate dal coro stesso nei vari momenti dello spettacolo. Sulle sedie, il coro appare talvolta di spalle e talvolta rivolto al pubblico, a indicare il suo essere incluso o escluso nelle scene rappresentate.

Altre grandi protagoniste dello spettacolo sono la piazza, la chiesa e l’osteria della madre di Turiddu, ovvero i tre luoghi in cui si sviluppa e si consuma la vicenda, tra amore, dolore e morte.

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Trama

È la mattina di Pasqua, nella piazza di un villaggio nei dintorni di Catania. Turiddu ritorna dopo un periodo come soldato e ritrova Lola, la donna a cui si era promesso, che ama ancora e che attualmente è sposata con Alfio, un carrettiere benestante.

Santuzza, la fidanzata di Turiddu, lo va a cercare nell’osteria della mamma Lucia, la quale dice alla giovane che il figlio è in viaggio per acquistare del vino. Scoprono poi, anche grazie alla testimonianza di Alfio, che Turiddu non ha mai lasciato il paese e che, ancora innamorato di Lola, la incontra segretamente.

Mentre tutti entrano in chiesa per le celebrazioni pasquali, Santuzza, scomunicata per via della sua relazione con Turiddu, resta fuori.

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Scena terza. La scena si svolge in chiesa, con la funzione solenne che segue la processione pasquale. Il centro del palcoscenico è occupato da circa 60 sedie, disposte metà a sinistra e metà a destra, lasciando libero un corridoio centrale. Vi sono seduti i paesani, donne e uomini, vestiti con abiti semplici sulle tonalità del nero, del grigio e del marrone. Mamma Lucia è seduta in prima fila, sulla destra. Alla estrema destra, in piedi, Santuzza. Dietro le sedie, altri paesani sono in piedi. Perpendicolare al corridoio centrale, un altare di marmo con un leggìo, due ceri accesi, un calice liturgico di colore oro e un tabernacolo dello stesso colore. Sopra all’altare, sostenuto al soffitto da due corde, un grande crocifisso di legno, con il corpo di Gesù illuminato da una intensa luce calda, tendente al giallo. Il fondale del palcoscenico è nero.
Scena terza – Santuzza, mamma Lucia, paesani.
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Sola con la sua disperazione, vede arrivare Turiddu e decide di affrontarlo per chiarire. Lui nega di essere assente da casa per incontrare Lola e deplora la gelosia di Santuzza. Sopraggiunge Lola, canticchiando uno stornello dedicato a Turiddu; schernisce Santuzza per il suo non poter accedere alla funzione religiosa ed entra in chiesa.

I due rimangono di nuovo soli, in una tensione sempre più drammatica: alla fine, Santuzza minaccia Turiddu, il quale replica maledicendola. Giunge poi Alfio, a cui Santuzza racconta della tresca tra sua moglie e Turiddu. All’uscita dalla messa, Turiddu invita un gruppo di uomini per un brindisi, incluso Alfio, che rifiuta dicendo che sarebbe come accettare del veleno. I due si sfidano a duello, immediatamente.

Prima di recarsi sul luogo prescelto, Turiddu chiede la benedizione di sua madre e le dice che, se non dovesse tornare, ci tiene a che la donna si prenda cura della giovane Santuzza da lui disonorata. Poco dopo, una donna sulla piazza annuncia “Hanno ammazzato compare Turiddu”.

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Scena decima. La scena si svolge in uno spazio esterno, in cui Turiddu sta festeggiando insieme a Lola e ad altri paesani. Al centro del palco, un tronco d’albero molto largo, tagliato. Intorno, i paesani, tutti uomini tranne mamma Lucia, sono seduti su delle sedie di legno o in piedi, alcuni con dei bicchieri in mano. Di fronte al tronco, altre sei sedie di legno su cui sono seduti, da sinistra a destra, Turiddu e cinque paesani, quest’ultimi di spalle. Dietro, in piedi, Alfio. Tutti sono vestiti con abiti semplici, sulle tonalità del nero, del grigio e del marrone, e sono illuminati da una intensa luce fredda, tendente al bianco. Sullo sfondo e sulla parte destra della scena è posizionato un muretto in pietra a delimitare lo spazio. Il fondale del palcoscenico è nero.
Scena decima – Turiddu, mamma Lucia, Alfio, paesani.
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PAGLIACCI

Ruggero Leoncavallo

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Il compositore

Ruggero Leoncavallo nasce il 23 aprile 1857 a Napoli. Inizia lo studio del pianoforte in provincia di Cosenza, dove il padre magistrato è stato trasferito. Nel 1874, conseguita la maturità classica, si iscrive all’Università di Bologna ma non giungerà mai alla laurea.

Al Teatro Comunale (1876), la sera del trionfo del Rienzi, terza opera di Richard Wagner, il giovane Leoncavallo annuncia solennemente al compositore tedesco una trilogia italiana di ambiente rinascimentale, Crepusculum (formata da I Medici, Savonarola, Cesare Borgia): progetto grandioso e di cui completerà molto più avanti la prima parte.

24 Questo ritratto di Ruggero Leoncavallo è ad opera del pittore bresciano Antonio Pasinetti. È stato realizzato nel 1894 ed è conservato al Museo Teatrale alla Scala. Il compositore è ritratto frontalmente, su fondo nero, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore. Il naso è pronunciato e le labbra sono incorniciate da folti baffi castano scuro. Indossa una camicia bianca, una cravatta nera con, al centro del nodo, uno spillo circolare di colore oro, e una pesante giacca a doppio petto di colore nero. Ha i capelli castano scuro, con un piccolo ciuffo che cade al centro della fronte.
Il compositore, Ruggero Leoncavallo.
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Il primo vero tentativo del ventenne “poeta-compositore” è rappresentato da un libretto (1878) tratto dal dramma Chatterton di Alfred de Vigny; cede lo spartito a un libraio-editore ma l’impresario, intascato il denaro, si dilegua.

Dopo qualche anno, raggiunge Marsiglia e, successivamente, il 9 luglio 1882, Parigi. Con tenacia cerca uno spazio nella grande capitale europea, ma con l’inasprirsi delle tensioni tra Italia e Francia, lascia la città. Raggiunge Milano, dove il baritono Victor Maurel lo presenta a Ricordi.

Ottiene un contratto per I Medici, di cui ha pronto il libretto. Terminata l’opera, Ricordi non ha intenzione di portarla in scena. Si tratta dunque di ripartire ancora una volta da zero.

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Partendo da un delitto avvenuto a Montalto, e giudicato dal padre, Leoncavallo inizia la scrittura di un’opera che sarà pronta dopo soli cinque mesi: il 21 maggio 1892, Pagliacci va in scena al Dal Verme. L’opera s’intitolava originariamente Pagliaccio, ma il baritono francese Victor Maurel, che aiutò Leoncavallo ad organizzare la prima rappresentazione, non voleva che il suo ruolo (Tonio) passasse in secondo piano in favore di quello del tenore (Canio).

Leoncavallo aggiunse per lui l’aria del Prologo e acconsentì a mutare il titolo in Pagliacci, al plurale. Il debutto fu un trionfo assoluto.

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La via è aperta al recupero degli altri titoli accantonati, a cominciare da I Medici. Ancora al Dal Verme, nel novembre 1893, l’opera provoca noia fra il pubblico e sarcasmi nell’ambiente musicale. Un certo successo arriva anche con la revisione di Chatterton (Roma 1896) e molto più con La Bohème (Venezia 1897), pur schiacciata dal confronto con l’opera pucciniana.

Maggior successo è quello di Zazà (Milano 1900) e non più che un trionfo di facciata, amplificato dalla propaganda ufficiale, resta invece Der Roland von Berlin, commissionatagli da Guglielmo II (Berlino 1904). Leoncavallo si spegne a Montecatini il 9 agosto 1919, dopo mille avventure, lasciando ancora incompiuto un Edipo Re (Chicago 1920).

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Note di regia

In questa produzione, il “Bivio di strada, in campagna, all’entrata di un villaggio”, tale è l’ambientazione del teatrino ambulante in Pagliacci, diventa uno di quegli squallidi spazi delimitati oggi dagli svincoli autostradali. Una grigia periferia neorealista e molto cinematografica, un po’ degradata, dove sostano gli “attori di fiera”, simili ad una piccola comunità Rom che mette in scena lo spettacolo per la festa di quartiere.

L’intreccio si svolge tra il palcoscenico e parte della platea, sottolineando la caratteristica alternanza tra aspetti teatrali e di vita vissuta ben presente nel libretto. Il coro è collocato in parte sul palco, in parte in palchi di proscenio o su praticabili al lato dell’orchestra e anche i personaggi si muovono liberamente tra scena e platea. Questo dinamico intreccio di relazioni tra cantanti-maschere, pubblico in scena e pubblico in sala crea un complesso insieme di emozioni che travalica il confine tra verità e finzione.

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Trama

Prologo

Tonio, con il suo costume di scena che più avanti indosserà per interpretare Taddeo, si rivolge al pubblico nelle vesti di Prologo. Esorta gli spettatori a meditare su un nuovo tema che l’Autore lo ha invitato a proporre: egli non intende sostenere, mettendo ancora in scena le antiche maschere della Commedia dell’arte, che i loro sentimenti sono pura finzione.

Ricorda quindi al pubblico, al di là delle convenzioni teatrali, di cogliere la profonda umanità dei personaggi che vedrà agire sul palcoscenico.

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Prologo. Di fronte al sipario del Teatro chiuso, Tonio, con il suo costume di scena che più avanti indosserà per interpretare Taddeo. È in piedi, rivolto verso il pubblico, con le braccia allargate. È un uomo alto e robusto, con i capelli corti castano scuro. Indossa una camicia rosso scuro, a righe bianche, e un gilet di colore argento, con delle decorazioni a forma di rombo di colore nero. Sopra, una giacca da frac molto corta, di velluto, di colore grigio scuro, tenuta aperta. Il bavero della giacca è a scacchi, grigi e neri. Sotto, dei pantaloni lunghi, di velluto, di colore grigio scuro. Nella mano sinistra stringe un berretto a cuffia, di colore grigio.
Prologo – Tonio.
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Primo atto

A Montalto, un paesino della Calabria, i passanti salutano l’arrivo di una compagnia di comici. Canio, capocomico, non sospetta che la moglie Nedda lo tradisca con il giovane Silvio. Anche Tonio, il factotum gobbo della compagnia, è innamorato di lei. Trasportato dalla passione, le fa una patetica dichiarazione d’amore, ma viene respinto con forza dalla donna.

Tonio si allontana e, sorprendendola con Silvio, corre ad avvisare il marito, che interrompe bruscamente i due amanti. Canio s’avventa sulla moglie senza riuscire a scorgere in volto Silvio. Levando il coltello su Nedda, l’uomo, pazzo di disperazione, le impone di rivelargli il nome dell’amante. Nedda gli resiste, sfidandone l’ira. Canio sta per colpirla quando accorre Peppe, un comico della compagnia, a trattenerlo: lo spettacolo deve cominciare. Canio si prepara quindi a nascondere la rabbia e il dolore sotto il trucco di Pagliaccio.

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Primo atto. La scena è occupata, sulla sinistra, da una roulotte malmessa e da due camioncini, uno dei quali è sormontato da un piccolo palco, su cui si esibiscono quattro acrobati. Nedda, attrice, è appoggiata alla roulotte e dà le spalle al pubblico. Alla sua destra, il marito Canio. Nedda indossa un abito in tessuto sintetico. La parte superiore, con le maniche lunghe fino ai gomiti, è a fantasia leopardata, con delle decorazioni floreali di colore rosso. La gonna, di colore rosso acceso, è lunga ed ampia, a balze. Ai piedi indossa delle scarpe con il tacco basso. Ha i capelli lunghi, mossi, castano scuro. Canio indossa un completo giacca e pantaloni, molto elegante, di colore grigio scuro, con delle sottili righe bianche, e una cravatta di colore argento. In testa, un cappello stile gangster, dello stesso colore del completo. Sullo sfondo e sulla parte destra della scena, un ponte stradale, i cui piloni sono ricoperti di manifesti strappati. Di fronte al ponte, sulla destra, un lampione. Affacciata dal ponte, una folla di spettatori osserva in basso la scena.
Primo atto – Nedda, Canio, acrobati e spettatori.
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Secondo atto

Lo spettacolo ha inizio. Peppe (Arlecchino), Nedda (Colombina), Tonio (Taddeo) e Canio (Pagliaccio) sono gli interpreti della commedia, mentre Silvio è tra il pubblico. Colombina ascolta rapita la serenata che le fa Arlecchino, quando entra Taddeo; l’uomo le dichiara il suo amore, ma viene respinto dalla donna. Arlecchino si appresta quindi a cenare in intimità con Colombina; irrompe così Pagliaccio, marito di Colombina, e Arlecchino fugge.

Sembra ripetersi, nella definizione teatrale, la drammatica situazione reale del pomeriggio. Canio, frastornato, si getta su Nedda reclamando il nome dell’amante, mentre il pubblico segue partecipe la rappresentazione senza sospettare il dramma che si sta consumando. La donna si rifiuta di parlare ed è colpita a morte; insieme a lei anche Silvio, precipitatosi a soccorrerla. Tonio si volta quindi verso il pubblico e annuncia cinicamente: “La commedia è finita!”.

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Secondo atto. La scena è occupata, sulla sinistra, da una folla di spettatori vestiti con abiti eleganti: alcuni in piedi, altri seduti. Dietro la folla, il camioncino sormontato dal piccolo palco, su cui si trovano altri spettatori. Altri ancora applaudono da due palchi di sinistra del Teatro, sul primo e secondo ordine, che si affacciano sul palcoscenico. Il centro della scena è occupato da un gruppo di acrobati. Poco più a destra, un tavolino di legno e due sedie, che costituiscono la scenografia dello spettacolo della compagnia di Canio. Sullo sfondo e sulla parte destra della scena, il ponte stradale e il lampione. I piloni sono illuminati da una intensa luce rossa.
Secondo atto – Spettatori e acrobati.
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Credits

I testi e le immagini contenuti in questo libro di sala accessibile sono stati forniti dall’Ufficio Edizioni Teatro alla Scala.

Ideazione, progettazione, rielaborazione testuale e descrizioni
Elena Di Giovanni, Francesca Raffi (Università degli Studi di Macerata)

Supervisione
Stefania Laura (Teatro alla Scala)

Coordinamento tecnico
ALI – Accessibilità Lingue Inclusione

Progettazione tecnica, studio e sviluppo digitale
Tadao Agency

Voci
Sonia Barbadoro (descrizioni)
Alberto Onofrietti (testi)

Video LIS
Ramona Sala

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Disclaimer

Questo documento e tutti i materiali in esso contenuti sono di proprietà esclusiva e riservata del Teatro alla Scala e/o dei suoi aventi causa e/o di terzi soggetti ove indicati, e sono protetti dalle vigenti norme nazionali ed internazionali in materia di tutela dei diritti di Proprietà Intellettuale e/o Industriale. È vietato qualsiasi uso non espressamente autorizzato.

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