L’eredità di Abbado

L’eredità di Abbado

A dieci anni dalla scomparsa di Claudio Abbado, la Scala dedica al grande direttore un concerto diretto da Ingo Metzmacher. Lidia Bramani, a lungo collaboratrice del Maestro, lo ricorda nei suoi ultimi anni

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Se dovessimo descrivere le sfide che la cultura è chiamata oggi ad affrontare, ci troveremmo di fronte agli stessi obiettivi perseguiti e raggiunti da Claudio Abbado nella sua “luminosa” carriera. Per definirne l’iter artistico ho pensato, di primo acchito, all’aggettivo “sfolgorante”, ma non ho potuto fare a meno di sorridere immaginandomi il fastidio che gli avrebbe procurato. Nessuno più di lui era lontano dal protagonismo. E non solo per carattere e vissuto, ma anche perché aveva maturato la certezza, oggi confermata dalla scienza, che nulla possa esistere fuori dall’interrelazione. Nel libro-intervista da me curato poco prima che ci lasciasse (La musica scorre a Berlino), quando ripercorreva le tappe dei progetti realizzati usava sempre il plurale, noi, mai il singolare, io. Quel fare musica insieme, che spesso citava, era il suo vero, autentico traguardo, e le sue intenzioni artistiche erano anche umane. Lungi dal sostituire l’aspetto narrativo, politico, etico allo scavo della partitura, la riteneva così centrale e autonoma da assorbire le suggestioni, le finalità, le interferenze esterne. Era d’accordo con Hans Heinrich Eggebrecht sull’opportunità di sostituire il termine extramusicale con il più appropriato intramusicale.

Quali sono dunque gli insegnamenti, sarebbe meglio dire gli exempla, che Abbado ci ha lasciato in eredità e che oggi si dimostrano non solo attuali ma urgenti? Dei trasgressivi ˗ e talvolta intransigenti ˗ anni Sessanta e Settanta aveva assimilato il rigore metodologico e l’apertura al nuovo. Il gusto della ricerca andava però di pari passo con il bisogno di bellezza, l’una e l’altra assoggettate a uno studio profondo, dinamico e in divenire. Non negava passione e abbandono, men che meno divertimento, ma lasciava che sbocciassero dall’assimilazione dell’opera e dal rispetto del suo autore. Da questi presupposti analitici scaturivano, con sorprendente naturalezza, le connessioni tra i generi, le tradizioni, gli stili, i momenti storici. L’empatia come collante indispensabile fra orchestrali e direttore si rifrangeva nell’alleanza del passato con il presente. Ed ecco le storiche prime esecuzioni dell’amico Luigi Nono e la curiosità per la musica contemporanea, inserita accanto ai classici nei concerti da lui diretti o ideati, e sostenuta attraverso molteplici iniziative.

E che dire della creatività con cui scandagliava la rete di risonanze, esplicite o recondite, fra le varie forme d’arte? Lo entusiasmava tessere fili di senso per guidare pubblici diversi tra musei, installazioni, concerti, rappresentazioni teatrali, film o romanzi. Anche in questo caso, l’esperienza lo spingeva a superare i limiti contingenti - organizzativi e mentali - impegnandosi in prima persona sia nell’inventare o sostenere un’iniziativa sia nel creare le condizioni per concretizzarla. Lo appassionava svelare al pubblico il legame tra il pittore e incisore Klinger e il compositore Brahms, scoprire un capolavoro come il Viaggio a Reims di Rossini, scandagliare le rifrangenze politiche del Simon Boccanegra di Verdi, attualizzare e diffondere musicisti ancora troppo poco noti, come Mahler o Berg. In quest’ottica, il lavoro con il regista diventava organico, il che spiega la collaborazione con i nomi di spicco del teatro musicale, della prosa, del cinema.

Voleva abbattere anche le distanze tra le generazioni. Non si può dimenticare l’impegno di Abbado nel formare orchestre eccellenti di giovani da affidare, non di rado, ad altrettanto giovani direttori d’orchestra. Compagini internazionali, dove l’unica discriminante fosse l’eccellenza. E quando la questione di genere non era ancora salita alla ribalta della cronaca, cedette la bacchetta a una donna, Claire Gibault, perché dirigesse dopo di lui il Pelléas di Debussy al Covent Garden di Londra. La sfaccettatura dell’atto interpretativo si estendeva anche alla musicologia, basti pensare alla cooperazione con Del Mar, da cui derivò la rilettura accurata e fantasiosa delle Nove Sinfonie beethoveniane, che scavalcò con spirito preveggente la soglia del XXI secolo.

Non ci sarebbe lo spazio per ricostruire il percorso evolutivo di Abbado, con le sue ricadute sulla diffusione musicale in nuovi territori, fisici e psicologici. È però possibile sintetizzare i nuclei del suo pensiero. La risolutezza nell’includere, rivisitare, reinventare toccava i nodi cruciali da cui dipende la sopravvivenza di una dimensione musicale alta, capace d’irradiarsi nella società. Così è successo al Teatro alla Scala, e ancora con i Berliner, ma l’elenco delle sale, degli enti, delle città ˗ dove il suo desiderio di dare e ricevere trasformava l’abitudine in estro ˗ sarebbe vastissimo, e certo non riassumibile qui. Cercava ˗ e trovava! ˗ nuove soluzioni affinché i luoghi della musica si aprissero alle capitali o alle piccole province, allungandone lo sguardo fino a renderlo lungimirante. E trascinando in queste avventure i migliori musicisti, cantanti, solisti, registi, colleghi. Amava la Sicilia come emblema di un’Italia resa unica e universale dalla stratificazione inesauribile di culture. Pensava che questa contaminazione potesse e dovesse diventare un modello per il mondo, visto che la nostra grandezza nasce proprio dall’arrivo, anche via mare, di variegate influenze.

Mi piace chiudere questa scheggia di ritratto con il tema diventato prioritario per Claudio Abbado, ben prima che la geopolitica più consapevole ne riconoscesse l’urgenza. Trovava straordinari i parchi di Berlino, e voleva una Milano piena di alberi e di verde, mentre in Sardegna aveva rimboschito e ripulito chilometri di costa da sempre resi accessibili al pubblico. Cosa c’entrava l’ambientalismo con la sua arte interpretativa, con la sua grandezza indiscutibile di direttore d’orchestra? Provo a rispondere con l’insegnamento principale che ci ha consegnato: la musica è vita, la vita è arte, l’arte rende fertile il futuro.

 

Lidia Bramani