Indimenticabili gli occhi di Nureyev

Indimenticabili gli occhi di Nureyev

La costumista, collaboratrice di Strehler e di Nureyev, si racconta in occasione del nuovo allestimento del Lago dei cigni, a pochi mesi dalla sesta inaugurazione di stagione a cui prenderà parte

1.9 Rivista Squarciapino Nureyev

Franca Squarciapino racconta spesso di essere arrivata al teatro soprattutto per provare a combattere la sua timidezza, che sembra non averla del tutto abbandonata nemmeno oggi, dopo un premio Oscar e decine di spettacoli tra Piccolo Teatro, Scala e Opéra, quasi sempre realizzati con suo marito, lo scenografo Ezio Frigerio, scomparso nel 2022. È con un tono di voce sempre leggero, di chi preferisce stare lontano dai riflettori, che racconta del suo rapporto artistico con grandi (e difficili) artisti come Strehler e Nureyev, di quando ha vestito Depardieu o Domingo, dei suoi cinque 7 dicembre, che diventeranno presto sei con il Don Carlo che inaugurerà la prossima Stagione. Ma intanto nel mese di settembre si riprende lo storico, onirico Lago dei cigni di Nureyev, il cui allestimento, come tanti altri del ballerino e coreografo russo, porta la firma Frigerio-Squarciapino.

 

MP Si ricorda quando ha conosciuto Nureyev?

FS Il primo spettacolo che abbiamo fatto insieme è stato Romeo e Giulietta con il London Festival Ballet (era il 1977, ndr). Allora ero ancora assistente di Ezio e avevo otto sartorie da seguire: era un continuo andare in giro per Londra per controllare il loro lavoro. E pensare che Ezio il balletto lo faceva controvoglia. Avevamo cominciato con Roland Petit, ma si era stufato in fretta. Quando poi è arrivato Rudolf non ci ha messo molto a convincerlo, anche per via di quel suo modo di porsi, a cui era difficile dire di no.

 

MP Che tipo era Nureyev?

FS Non era certo un uomo facile, però amava il bello, e amava i grandi spettacoli, anche per questo il rapporto con noi è stato da subito molto positivo. Ricordo soprattutto la sua curiosità, l’entusiasmo con cui ci proponeva ogni sorta di immagini da inserire: per lui bastava che il riferimento fosse italiano, indipendentemente dall’epoca o dalla città. Ezio con pazienza gli spiegava che non si potevano mescolare tutti quegli elementi, che lo spettacolo si svolgeva a Verona in un momento storico preciso. Lui ascoltava, quasi affamato di quella cultura che forse gli era sempre mancata. Era bello guardarlo durante le prove, per la forza che metteva nelle sue interpretazioni. In generale amava molto i costumi, anche fuori dal palcoscenico: si divertiva a travestirsi. Aveva questa casa tra l’orientale e il russo in cui viveva come un principe tartaro. Ci accoglieva sempre con grande entusiasmo. La sua governante francese si ostinava a preparargli dei soufflé, ma lui arrivava sempre ore in ritardo rispetto all’orario annunciato, quando ormai il soufflé si era afflosciato. E a quel punto lei piangeva disperata.

 

MP Dopo Romeo e Giulietta avete fatto diversi altri balletti insieme, prima a Parigi poi alla Scala.

FS Vivevamo tutti a Parigi, e ci chiamò per La Bella addormentata, per Il lago dei cigni e infine per La Bayadère, forse il balletto che ricordo con più emozione, l’ultimo che abbiamo fatto prima che morisse. La sera della prima ero in un palco con lui, ormai stava malissimo: gli erano rimasti solo gli occhi, che non dimenticherò mai, perché quella sera erano felici. Alla fine sul palcoscenico piangevamo tutti: eravamo lì per lui, sapevamo che se ne stava andando. Io stessa avevo avuto molte difficoltà in quella produzione, perché ero caduta in Turchia e avevo dovuto seguire tutte le prove sdraiata su un divanetto che mi avevano preparato in teatro.

 

MP Ci sono difficoltà specifiche nel realizzare i costumi per un balletto?

FS La ragione per cui amo il balletto è che hai la possibilità di sbizzarrirti, di inventarti dei mondi più fantasiosi rispetto all’opera o alla prosa. Ovviamente ci sono delle regole precise, ad esempio a Parigi guardavano scrupolosamente la lunghezza delle gonne, un po’ perché le ballerine si devono muovere, un po’ perché c’è un rigore da mantenere. Nureyev ovviamente voleva per sé grandi costumi appariscenti. Con lui si poteva osare, fare cose interessanti, stando però sempre attenti che tutto funzioni complessivamente: non ci si può fissare solo sul costume del protagonista.

 

MP Tra l’altro il primo spettacolo che lei ha firmato alla Scala è stato proprio un balletto: Il mandarino meraviglioso di Bartók, coreografia di Roland Petit, scene di Josef Svoboda e direzione di Claudio Abbado. Era il 1980.

FS Per quello spettacolo avevo fatto delle giacche imbottite che poi hanno cominciato ad andare di moda. Non che l’abbia lanciata io, ma è curioso che poi si siano cominciate a vedere ovunque in giro.

 

MP Lei a quel punto faceva la costumista già da diversi anni, tra il Piccolo Teatro e lo Schauspielhaus di Zurigo. Come ha iniziato?

FS Sono nata a Roma, ma per ragioni familiari sono cresciuta all’Aquila, una città che mi stava stretta e da cui sapevo che me ne sarei andata. Ero timidissima, così mi iscrissi a una scuola d’arte drammatica per cercare di sbloccarmi. Vinsi una borsa di studio per la televisione a Napoli, con altri attori come Milena Vukotic e Ugo Pagliai. Ma in scena stavo sempre male, ancora adesso non mi piace mostrarmi. La mia maestra di recitazione, Miranda Campa, che per me era una seconda madre, mi seguì a Napoli per starmi vicina. Fu lei a presentarmi Ezio, stavano nello stesso albergo. Lui era lì per girare Ieri, oggi, domani con De Sica. Quando tornammo a Roma cominciò a cercarmi. Un giorno mi invitò a visitare la villa di Ponti in cui stava seguendo dei lavori. Quando tornammo indietro vidi che aveva fatto riempire la macchina di fiori.

 

MP Iniziò subito a lavorare con Frigerio?

FS I primi tempi lo seguivo soltanto, poi capì che poteva affidarmi delle cose. Per imparare a disegnare andai a scuola di nudo: avevo capito che questo lavoro poteva interessarmi. Ezio esitava, ma io ho insistito: essere cresciuta in Abruzzo con un padre siciliano mi ha reso testarda. Così sono diventata sua assistente, e per me è stata una scuola dura, più che per gli altri suoi assistenti.

 

MP Anche la scuola Strehler è stata dura?

FS Entrambi mi hanno dato molte cose importanti. Ezio la conoscenza dei materiali e la cultura visiva. Viaggiavamo molto, andavamo nei musei e mi spiegava tutto, mi spingeva a capire e a conoscere. Al Piccolo Teatro seguivo le prove di Strehler, un personaggio difficile da capire perché era sempre lontano e distante, oltre che burbero. Mi sono sempre chiesta come facesse quest’uomo, quasi incapace di dimostrare sentimenti, a tirarli fuori dagli attori in un modo così sottile e intenso. Era davvero incredibile.

 

MP Tra gli spettacoli più importanti di quegli anni scaligeri si ricordano soprattutto i Mozart diretti da Riccardo Muti: Le nozze di Figaro e Don Giovanni.

FS Che erano tra loro molto diversi. Del resto ogni spettacolo è un mondo, soprattutto per Strehler. Forse il nostro Don Giovanni era troppo cupo, Ezio lo ripeteva sempre. Le Nozze invece era uno spettacolo solare, parola che non mi piace perché viene spesso banalizzata, ma non si può definire che in questo modo. Quanto ha dato Ezio a questi spettacoli! Non voglio togliere niente a nessuno, ma la parte visiva era sua. Strehler non sapeva leggere i disegni: ogni volta che vedeva la scenografia costruita restava perplesso, perché se l’era immaginata in un altro modo.

 

MP Lei e Frigerio avete lavorato con molti altri registi, oltre a Strehler: per esempio con Graham Vick si ricorda l’Otello del centenario verdiano.

FS Eravamo andati molto d’accordo. Ma il suo era un altro tipo di teatro, forse aveva bisogno di una scenografia meno strutturata rispetto a quella che Ezio aveva realizzato per Otello. Un’altra esperienza importante fu con Werner Herzog, che veniva dal cinema. Un uomo intelligente e simpatico. Per quel Fidelio fatto insieme cercava qualcosa di molto forte.

 

MP A proposito di cinema, non possiamo non accennare al Premio Oscar che ha ricevuto nel 1991, tra l’altro per il suo primo film: Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau. Eravate candidati sia lei sia Frigerio.

FS Fu fortuna. Ma mi dispiacque tanto per Ezio, il suo lavoro non era stato capito: non si erano resi conto che quella scenografia era tutta costruita, tutta inventata. Ci hanno chiesto di restare a Los Angeles, ma era un mondo che non ci interessava, in cui bisogna presenziare a tutti i costi. È come essere ai lavori forzati. Ezio non avrebbe mai potuto vivere così. Comunque la serata degli Oscar fu veramente un’esperienza incredibile, mi ritrovai lì davanti a tutti gli attori che si vedono nei film, vecchi e giovani, che mi sorridevano. Molto bello e molto imbarazzante.

 

MP Com’era stato vestire Depardieu?

FS Una lotta. Non veniva alle prove. Mi diceva: prendi mio cognato, vesti lui, tanto siamo uguali, poi al massimo c’è la mia sarta che sistema. Poi beveva: un giorno si gonfiava, un altro si sgonfiava. Alla fine del film gli dissi che non avrei mai più fatto niente con lui. Invece mi richiamò per un altro film (“Il colonnello Chabert”, ndr) e quella volta fu più disciplinato.

 

MP Ci anticipa qualcosa sul Don Carlo che farà con Lluís Pasqual?

FS Conosco Lluís da quando era un giovane regista. Abbiamo lavorato con lui in tanti teatri, la Spagna per me ed Ezio era come una seconda casa: Barcellona, Madrid, Siviglia. Posso dire che abbiamo in mente un ambiente molto spagnolo, oscuro e oppressivo. Speriamo. Quando si comincia uno spettacolo si deve essere sicuri che andrà bene. Poi l’agitazione cresce durante le prove. Ma a quel punto è già tardi: devi prepararti al meglio prima.

 

MP A parte il teatro, sta seguendo altri progetti?

FS Sto lavorando con impegno per realizzare un museo a Erba, la città di mio marito dove abbiamo vissuto in questi ultimi anni. Era l’ultimo sogno di Ezio, un museo a Villa Candiani dove collocare ben tre collezioni: dei busti romani, una quadreria del Novecento da Campigli a Guttuso, e infine i nostri bozzetti e figurini, per far avvicinare anche le nuove generazioni al mestiere del teatro. I lavori sono iniziati quest’estate e termineranno entro il 2025. Poi bisognerà trovare qualcuno che se ne occupi.

 

Mattia Palma

 

Nell'immagine Franca Squarciapino e Rudolf Nureyev, 1990.