Alexei Ratmansky, formazione di un coreografo

Alexei Ratmansky, formazione di un coreografo

Ritratto di Alexei Ratmansky a firma di Marina Harss, critica di danza che collabora con il New York Times e con il New Yorker e che ha recentemente pubblicato una biografia del coreografo: The Boy from Kyiv

Coppélia Alexei Ratmansky in prova

Alexei Ratmansky è nato il 27 agosto 1968 in Russia, a San Pietroburgo ‒ allora chiamata Leningrado ‒ da madre russa e padre ucraino; il padre Osip era di Kiev, la madre Valentyna pietroburghese. All’epoca i genitori e la sorella maggiore Maria vivevano a Kiev, ma si recarono a Leningrado per la nascita; poco dopo tornarono a Kiev con il neonato Alexei. Osip, ex ginnasta, era ingegnere aeronautico; Valentyna era psichiatra. Nonostante le difficoltà della vita in Unione Sovietica, la famiglia viveva un’esistenza felice, confortevole e borghese, che comprendeva vacanze regolari in Crimea, un’automobile, frequenti visite a musei e concerti.

L’amore di Ratmansky per la musica emerse precocemente; ogni volta che sentiva della musica in televisione o alla radio, si metteva a ballare. Presto iniziò ad allestire piccoli spettacoli per i genitori e i loro amici. Alla fine i suoi genitori decisero che sarebbe stato opportuno fargli studiare danza e raccolsero informazioni al riguardo; appresero così che la migliore scuola di danza, soprattutto per i ragazzi, si trovava in Russia, presso il Teatro Bol’šoj. Così Alexei, accompagnato dal padre, partì per Mosca con il treno notturno per partecipare a un’audizione generale, anche se non aveva ancora frequentato un corso di danza vero e proprio. Dopo alcuni giorni di prove ed esami, giunse la comunicazione ufficiale: era stato accettato.

 

Così, all’età di dieci anni, nel 1978, Ratmansky si iscrisse alla scuola del Bol’šoj e lasciò la casa familiare. Negli otto anni che seguirono studiò danza intensamente, entrando infine nella classe del famoso insegnante Pëtr Pestov. La sua istruzione a scuola era completata da frequenti puntate al Bol’šoj per assistere agli spettacoli. Appassionato di arte, iniziò a realizzare brevi spettacoli teatrali e di danza con i suoi compagni di scuola; tra questi, un balletto basato sul poema sinfonico di Paul Dukas L’apprendista stregone, in cui Ratmansky danzava il ruolo dell’apprendista.

Ma dopo essersi diplomato non fu ingaggiato dalla Compagnia di Balletto del Bol’šoj. Così, nel 1986 ‒ l’anno del disastro di Chernobyl ‒ tornò a Kiev per iniziare la sua carriera professionale nel Balletto Nazionale Ucraino, dove trascorse i sei anni successivi, arrivando a diventare primo ballerino.

Era la fine degli anni Ottanta, il periodo della glasnost e della perestrojka. Per la prima volta, Ratmansky vide compagnie straniere interpretare lavori di George Balanchine, Jiří Kylián, Roland Petit e Maurice Béjart e sentiva che gli si confacevano maggiormente delle versioni “sovietizzate” del repertorio ottocentesco che danzava all’epoca o delle opere muscolari di coreografi sovietici. Non vedeva l’ora di interpretarle, ma sembrava improbabile che gli si presentasse l’occasione di poterlo fare.

 

La situazione cambiò con la caduta dell’Unione Sovietica alla fine del 1991. Nel 1992 lasciò Kiev per entrare nel Royal Winnipeg Ballet, dove rimase per tre anni. Il periodo trascorso in Canada fu per lui come una seconda educazione alla danza. Finalmente ebbe modo di imparare e danzare balletti come Square Dance e Allegro Brillante di Balanchine, ma anche lavori di Frederick Ashton, Antony Tudor e Twyla Tharp. L’esperienza lo rese più veloce, più preciso, più rapido nell’imparare i passi, più adattabile, più sottile nelle sue interpretazioni.

Fu sempre in Canada che creò il suo primo balletto da adulto, presentato in uno dei laboratori coreografici della compagnia. Si trattava di uno sketch comico intitolato Whipped Cream (“Panna montata”), sulla musica di un oscuro balletto di Richard Strauss, e interpretato da Alexei e dalla sua futura moglie, Tat’jana, che nel frattempo lo aveva raggiunto in Canada. Nel 1994 coreografò la sua prima serata completa di balletti per il Balletto Nazionale Ucraino, dopo aver vinto un premio coreografico a un concorso locale. Il processo di creazione fu esaltante: “Mi sentivo come se mi fossero spuntate le ali”, dichiarò Ratmansky.

 

L’anno successivo, Alexei e Tat’jana lasciarono definitivamente il Canada. Con Kiev come base, i due si esibirono in qualità di freelance, interpretando nuovi lavori coreografati dallo stesso Ratmansky. Fu in occasione di uno di questi spettacoli che Ratmansky conobbe Nina Ananiashvili, una stella del Bol’šoj che aveva una sua compagnia itinerante. Nina lo invitò a creare per lei una coreografia, che fu il suo primo successo. The Charms of Mannerism ‒ questo il titolo ‒ era una suite su una serie di affascinanti pezzi per tastiera del compositore barocco francese François Couperin, orchestrati da Richard Strauss. Come Whipped Cream, era divertente. L’umorismo e l’ironia hanno sempre fatto parte del vocabolario coreutico di Ratmansky; uno dei suoi libri preferiti fin dall’infanzia è Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll e uno dei suoi film preferiti è Prova d’orchestra di Fellini. Ama le qualità che l’umorismo incoraggia nella danza: spontaneità, naturalezza, informalità. È uno dei motivi per cui nei suoi balletti i danzatori sembrano così liberi e spontanei.

 

The Charms of Mannerism lo fece notare dalle più importanti compagnie di danza della Russia, il Mariinskij e il Bol’šoj, che ben presto gli chiesero di coreografare per loro grandi balletti a serata intera. Nel 2002 creò per il Mariinskij una Cenerentola quasi concettuale e postmoderna; poi, l’anno successivo, realizzò il balletto che cambiò la sua carriera e la sua vita: Il limpido ruscello, noto in Occidente come The Bright Stream. Quando questa farsa in stile sovietico, su una partitura di Šostakóvič, fu presentata al Bol’soj ebbe un successo strepitoso. Fu una svolta, per il Bol’šoj e per Ratmansky. All’epoca, Ratmansky e Tat’jana danzavano con il Royal Danish Ballet a Copenaghen, dove trascorsero sette anni. Fu in quel periodo che Ratmansky danzò e studiò i balletti di August Bournonville, ossia il coreografo che creò gran parte del repertorio danese dell’Ottocento, compresa la versione della Sylphide che viene eseguita in tutto il mondo ancora oggi. Ratmansky era affascinato dalla naturalezza della recitazione e della mimica, per cui i ballerini danesi sono famosi. Questa qualità intima si nota sia nelle sue opere originali, come The Bright Stream, sia nelle sue ricreazioni di balletti ottocenteschi come La Bella addormentata rappresentata alla Scala nel 2017 e la nuova Coppélia che state per vedere.

 

Grazie a The Bright Stream Ratmansky fu invitato a diventare il successivo direttore del Balletto del Bol’šoj, a soli 35 anni. Accettò la sfida, si ritirò dalla danza e con la moglie e il figlioletto si trasferì a Mosca. I cinque anni di Ratmansky alla guida del Bol’šoj (2004-2008) non furono facili. Era giovane, era un outsider, la sua carriera non si era svolta né a Mosca né a San Pietroburgo ma in Ucraina, Canada e Danimarca, e incontrò resistenze all’interno e all’esterno del Teatro. Ma rimase, guidando lentamente ma saldamente il repertorio e la cultura della compagnia in una nuova direzione.

Portò in scena balletti di Balanchine, Léonide Massine, Christopher Wheeldon e Twyla Tharp e creò diversi nuovi lavori, attingendo al repertorio dei balletti sovietici dimenticati, come Il bullone e Fiamme di Parigi. Con questi progetti Ratmansky incoraggiò uno stile di danza più aperto e naturale nei ballerini, ma gettò anche una luce nuova sull’ideologia di fondo del balletto sovietico. Nelle sue mani questi balletti sono diventati esplorazioni dell’umanità dell’individuo, dell’outsider che soffre di fronte a forze oppressive.

 

L’introduzione di Ratmansky al pubblico americano avvenne nel 2005, quando il Bol’šoj presentò The Bright Stream a New York. Gli fu immediatamente commissionato un pezzo per il New York City Ballet, Russian Seasons (2006), un balletto non narrativo che evocava il mondo dei racconti popolari e della cultura popolare, su musica del compositore ucraino Leonid Desyatnikov. Al pubblico di New York sembrò completamente nuovo, sia per il particolare approccio impressionistico alla narrazione sia per lo stile modernista-postmodernista-popolare. Fu un successo, tanto che nel 2008, quando Ratmansky annunciò che avrebbe lasciato il Bol’šoj, stremato dai continui ostacoli della politica interna, si pensò che sarebbe passato al New York City Ballet. Benché all’epoca questa collaborazione non si fosse concretizzata, Ratmansky continuò a creare regolarmente balletti per la compagnia, tra cui Namouna (2010), Pictures at an Exhibition (2014) e Voices (2020).

Nel 2009 invece accettò un’offerta dall’American Ballet Theatre, dove rimase come coreografo residente fino alla primavera del 2023 e per il quale realizzò ben diciassette balletti, tra cui Shostakovich Trilogy (2013), Serenade after Plato’s Symposium (2016) e Songs of Bukovina (2017). In quel periodo è diventato anche uno dei coreografi più prolifici e richiesti al mondo, spesso creando più balletti ogni anno per diverse compagnie.

 

Ciò che sorprende, oltre alla sua produttività, è l’ampiezza della sua ispirazione. Ratmansky ha realizzato opere narrative e non narrative, balletti a serata intera e balletti in un atto, lavori su musiche semplici e orecchiabili e pezzi su musiche contemporanee difficili e complesse; opere leggere e piene di umorismo e opere più cupe che attengono al regno dell’ambiguità e dell’ambivalenza. Classificarlo è impossibile: ha preso tutti gli elementi che hanno contribuito alla sua formazione coreutica per creare uno stile unico e personale. Inoltre, dal 2014 dispone di un’ulteriore competenza: ha infatti imparato a leggere e a interpretare i sistemi di notazione del XIX secolo, utilizzandoli per creare versioni storicamente informate di alcuni dei balletti più famosi del canone classico, tra cui La Bella addormentata e Il lago dei cigni (andato in scena alla Scala nel 2016). La sua ricerca, il suo gusto estetico e la sua immaginazione hanno rivelato aspetti preziosi e dimenticati di tali lavori, infondendo loro nuova vita.

 

Ratmansky è ora giunto a un nuovo punto di svolta, nella sua vita e nella sua arte: ha recentemente lasciato l’ABT e quest’autunno è finalmente passato al New York City Ballet, la compagnia di Balanchine, come coreografo residente. Su un piano più personale, è stato toccato dal disastro della guerra. All’inizio del 2022 la Russia, il Paese in cui ha mosso i primi passi nella danza, ha invaso l’Ucrania, il Paese in cui vivono ancora la sua famiglia e quella di Tat’jana.

È stato un periodo pieno di preoccupazioni e di ansie. In Russia le sue opere sono state private del suo nome ed eseguite senza il suo permesso. Allo stesso tempo, ha abbracciato la causa dell’arte e della cultura ucraina. Uno dei motivi per cui è stato attratto da Coppélia, ha detto Ratmansky, è che il balletto è ambientato in Galizia, una regione che si trova tra le attuali Polonia e Ucraina. È difficile sapere in che modo l’attuale conflitto influenzerà il suo lavoro; ma è certo che continuerà a crescere, a cambiare e a imparare, guidato dalla sua curiosità, dal suo interesse per la storia e dal suo amore per la danza.

Marina Harss
Traduzione di Arianna Ghilardotti