La vita scaligera di Franco Fantini

La vita scaligera di Franco Fantini

Leggendario violino di spalla dell’Orchestra della Scala, Franco Fantini è scomparso il mese scorso a 99 anni, lasciando in eredità un bagaglio di memorie sui più grandi direttori del secolo scorso, da Toscanini a De Sabata, da Karajan ad Abbado

Franco Fantini nel 1981 prove Messa di Requiem con Claudio Abbado 33186LMNph Lelli e Masotti © Teatro alla Scala

“Franco Fantini ha incarnato lo spirito scaligero, che un tempo univa nell’orgoglio di appartenere al nostro Teatro il Sovrintendente e l’ultimo dei macchinisti”, ricorda Ernesto Schiavi, che ha suonato nei primi violini dell’Orchestra sotto Fantini per molti anni. “Ho fatto il concorso per entrare in Scala nel 1971, e fu Fantini ad approvare il mio ingresso dopo il periodo di prova. Era un uomo semplice, nonostante il suo ruolo e le grandi qualità violinistiche. Mi ha aiutato e ha dispensato consigli preziosi, di quelli che evitano alle persone inesperte qual ero io agli inizi di cadere negli errori banali. La mia prima opera alla Scala fu niente meno che il Wozzeck di Alban Berg, dirigeva Claudio Abbado. Ero nel periodo di prova e fui spedito al primo leggìo accanto a Fantini. A un certo punto feci una clamorosa strappata fuori tempo, e già mi vedevo cacciato dall’Orchestra. Invece Fantini si voltò verso di me sorridendo, e mi fece i complimenti per il bel suono! Era un modo per calmarmi e per farmi capire che quel che conta non sono gli errori ma come si reagisce agli sbagli. Nel tempo, siamo entrati in confidenza, ed è sempre stato una guida preziosa per me e per tanti di noi”.

Non si potrebbe tracciare un ritratto più veritiero di Franco Fantini, uomo del popolo nato nel 1925 in una casa di ringhiera a Sesto San Giovanni, allora un grosso borgo operaio a ridosso delle fabbriche novecentesche di Milano. Ereditato il talento dal padre, musicista dilettante ma dotato, il giovane Fantini si sobbarcava tutti i giorni il lungo viaggio in tram, nel gelo dell’inverno e nel caldo torrido dell’estate, dal rondò di Sesto al centro di Milano, dove negli anni Trenta divenne allievo al Conservatorio prima del famoso Enrico Polo, quasi un secondo padre per il timido enfant prodige di periferia, e poi di Michelangelo Abbado, padre invece di quel Claudio che prima di diventare direttore d’orchestra aveva intrapreso la carriera pianistica, formando per qualche tempo insieme a Fantini e al violoncellista Mario Gusella un trio di un certo livello. Una decina d’anni dopo, nel 1968, Fantini ritroverà l’amico Claudio come direttore musicale della “sua” Orchestra della Scala. Sua, perché Fantini ha salito tutti i gradini per arrivare in cima, iniziando a soli diciassette anni come violinista di fila per arrivare nel 1954, nemmeno trentenne, al rango di violino di spalla, nell’epoca d’oro di Victor de Sabata. Fantini, scomparso purtroppo a pochi mesi dal traguardo dei cent’anni, era ormai uno dei pochi ad aver visto la Scala com’era prima dei bombardamenti che il 16 agosto 1943 ridussero la sala del Piermarini a un cumulo di macerie. Di fronte alle devastazioni della guerra, quel ragazzo di diciotto anni, nonostante il teatro distrutto, la fame, la miseria e la paura di quei giorni, non perse la fiducia nel futuro, la voglia di lottare e di migliorarsi, come tanti giovani della sua generazione. Anche fisicamente, con quel corpo magro e asciutto, le mani ossute e quel viso disegnato da Altan, Fantini sembrava un uomo di un’altra Italia, l’Italia in bianco e nero del cinema neorealista, l’Italia di Miracolo a Milano. Era uno di quegli uomini di buona volontà che si rimboccarono le maniche e ricostruirono Milano e la Scala, risorta dalle sue ceneri l’11 maggio 1946 con il memorabile concerto diretto da Arturo Toscanini. Quella sera la Scala era avvolta dall’abbraccio di tutta la città, assiepata attorno a uno dei luoghi simbolici della sua storia per ascoltare dagli altoparlanti il grande vecchio antifascista tornato dall’America per riaprire il Teatro, ricostruito a tempi di record e gremito all’inverosimile. Fantini c’era, nella fila dei violini, con la forza e l’entusiasmo dei suoi vent’anni. C’era quando un altro grande vecchio, compromesso suo malgrado con il nazismo, Wilhelm Furtwängler, faceva scoprire all’Orchestra, tra le brume misteriose del suo gesto indecifrabile, i percorsi segreti dei drammi musicali di Wagner. C’era quando un altro giovane direttore tedesco, Herbert von Karajan, impaziente di scalzare Furtwängler dal trono dei Berliner Philharmoniker, insegnava all’Orchestra come inondare di luce la musica di Mozart e Beethoven. C’era quando Dimitri Mitropoulos, gran sacerdote della musica moderna, si accasciò sul leggio stroncato da un infarto durante le prove della Terza di Mahler, di fronte a un’orchestra sbigottita. C’era quando nella buca della Scala entrò a grandi falcate un ragazzone americano bello e sorridente, Leonard Bernstein, con indosso una tuta da ginnastica e un asciugamano bianco al collo, come se dovesse andare a una partita di tennis anziché alle prove di Bohème. “Se gli davi un pizzicotto sprizzava una sinfonia”, raccontava Fantini alla figlia Silvana nel bel libro di memorie Una vita in Scala. Sono tanti i personaggi leggendari, da Igor’ Stravinskij ad Antonio Guarnieri, Antonino Votto, Carlo Maria Giulini, Hermann Scherchen, che hanno testimoniato stima e affetto per questo artista umile e attento, gran lavoratore, una vera spalla su cui appoggiarsi per un direttore d’orchestra. Carlos Kleiber che manda “saluti amistosi” e si lamenta perché l’Orchestra ha cambiato la sua distribuzione dei soli nel Tristan und Isolde, affidandosi a Fantini perché rimetta tutto in ordine; Karajan che vuole portarlo nell’Orchestra di Bayreuth alla rinascita del Festival, e s’indigna per il rifiuto della Scala di concedere il permesso; la “fila dei primi violini” che regala a Fantini una targa d’argento con le prime battute del solo di violino di Ein Heldenleben di Strauss: sono alcune delle innumerevoli istantanee di una vita dedicata alla musica e all’Orchestra della Scala. “Fantini è stato un esempio di amore e dedizione alla Scala che non ho più riscontrato dopo di lui” racconta Francesco De Angelis, oggi suo successore nel ruolo di violino di spalla. “Era un gran gentiluomo, amato e rispettato da tutta l’Orchestra. Ho imparato gran parte del mestiere da lui e da Giulio Franzetti, l’altra ‘spalla’ di quegli anni, sedendo accanto a loro come concertino. Fantini ha avuto la generosità di aiutarmi a preparare il concorso per diventare primo violino, un salto di carriera assai delicato da compiere all’interno dell’Orchestra. Ricordo in particolare i suoi insegnamenti per un assolo di violino impegnativo come quello di Der Bürger als Edelmann di Strauss; era un musicista di esperienza straordinaria e di grandissima umanità. Mi rammarico di averlo potuto frequentare per poco tempo, ma spero che il suo esempio di passione e attaccamento per la Scala e per il lavoro sia utile anche per i musicisti di oggi”.  

C’è una storia che più di ogni altra forse racconta l’amore di Fantini per la “sua” Orchestra. Quando nel 1981 Abbado chiese l’appoggio dei senatori per varare il progetto della Filarmonica della Scala, una vera rivoluzione per lo stile e la prassi dell’Orchestra, Fantini si gettò con entusiasmo nella nuova sfida, pur essendo ormai agli sgoccioli della carriera. Avrebbe potuto rimanere scettico e distaccato verso un progetto che inevitabilmente rimescolava le abitudini e le gerarchie del mondo nel quale era vissuto e cresciuto, ma capì che la creazione della Filarmonica era un cambiamento necessario e salutare, una maniera d’immaginare un futuro per l’Orchestra. Del resto, Fantini era stato sempre pronto a partecipare a progetti innovativi, come quando suonava il violino del diavolo nell’Histoire du soldat di Stravinskij con Giorgio Strehler come regista e narratore nel 1957 alla Piccola Scala, l’epoca in cui il Piccolo portava a Milano il teatro epico di Bertolt Brecht, o trovava accenti cabarettistici per il Diario dell’assassinata di Gino Negri con protagonista Milva, sempre alla Piccola Scala nel 1979, abbinato al Pierrot lunaire di Schönberg.  

Ma la “stella assoluta” dell’universo musicale di Fantini è stato Victor de Sabata. Toscanini era una leggenda lontana, raccontata dagli anziani dell’Orchestra e vissuta soltanto nello storico concerto del 1946, un idolo di cui conservare il frac donatogli dal Maestro Polo. De Sabata, invece, era la presenza viva, la lezione che non si dimentica, non solo perché fu il direttore dell’indimenticabile Falstaff della sua prima stagione alla Scala nel 1942, ma soprattutto perché sprigionava quello spirito dionisiaco che il giovane violinista di Sesto aveva sempre sentito come uno scatto di liberazione, un volo verso qualcosa che oltrepassa l’esperienza quotidiana. “Posso dire che quando sono entrato in orchestra e ho cominciato a suonare ˗ raccontava Fantini qualche anno fa in un’intervista a Famiglia Cristiana ˗, ho avuto la sensazione che ogni opera fosse un viaggio. Ricordo quanto mi piaceva immergermi in Wagner: cinque ore di godimento. È andata avanti così per tutta la vita”. Sembra di distinguerlo, il violino di Fantini, nei turbini suscitati da De Sabata nel Tristano e Isotta, quando Tristano irrompe nel giardino del castello ebbro d’amore, o nei fremiti minacciosi della Cavalcata delle Valchirie. Del resto il volo era l’altra passione di Fantini, pilota provetto di alianti e innamorato fin da bambino degli aeroplani che spiava dalle recinzioni all’aeroporto di Bresso. La musica, in fondo, è aria che vibra, e lassù, in mezzo alle onde prodotte dai suoni, volteggia leggero e beato il buon Fantini, sulle ali di un archetto di violino.  

Oreste Bossini
Giornalista e scrittore, conduttore di Rai Radio 3, collabora con le principali istituzioni musicali italiane come il Teatro alla Scala, il Teatro La Fenice di Venezia, la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Società del Quartetto di Milano